Oscure visioni 2 (la vendetta)

Ancora mi ricapita, che è cosa che si ripete. Dev’essere la fase di stanca che m’assilla da oltre un mezzo secolo, e che ora mi straborda le ultime trincee, quelle che sino ad ora avevano resistito. Mi viene in mente una cosarella, penso che sia interessante, ci ragiono un attimo, quasi mi butto a buttarla giù, e poi m’addivengo a conclusione che l’ho già scritta. Dapprima m’arrovello, mi scalcio da solo, mi fustigherei. Poi però sospiro di sollievo, che sotto sotto non mi par vero che l’avevo già scritta. Dunque me la rileggo e m’illumino, mai troppo d’immenso però, che le luci mi premono soffuse, quindi ve la propongo pari pari, sempre virgolettata, per far finta che cito persona importante..

“Non è che ne sia persuaso io, è una fatto che gli specchi non mentono. Ma non è per desiderio di fuga dalla verità che mi trovo raramente ad interloquire con loro. Mi capita di ritrovarmici davanti svogliatamente, mi dedico alla cosa con sguardo annoiato e distratto, non mi ci soffermo se non per esigenze improrogabili, come farmi la barba tutte le sante mattine prima di andare al lavoro. C’è questa necessità convenzionale e la rispetto con zelo. Solo che adesso, nella dismissione delle libertà – quanto ob torto collo non è dato a sapersi -, le convenzioni saltano, si infrangono su desideri incompiuti di fughe infinite, di viaggi verso orizzonti sconosciuti, voglie a lungo sopite di derive ed approdi. Ed è allora che le barbe crescono, selvagge, impertinenti, incuranti della fisica, in tutte le direzioni dello spazio e del tempo, il cui scorrere registrano con precisione teutonica. Venuto meno l’obbligo civico del radersi, la distrazione del primo acchito si trasforma impietosa nell’osservazione minuziosa del dettaglio. E quel volto imbiancato ed ispido quasi non lo riconosco, s’affaccia da quella finestra a simmetria invertita senza ritegno, scimmiottando l’abbandono di modi dabbene, la progressiva metamorfosi verso la trascurata barbarie. Ma sarà poi tale, barbarie intendo, quella strana pulsione che aleggia nel silenzio delle case? O è piuttosto la riscoperta di un’essenza sopita di natura compressa? Ed allora immagino cosa succederà nel momento del liberi tutti. Certo vi saranno disperati assalti a barbieri e parrucchieri. Torme di donne e uomini, come per incanto resuscitate da un lungo letargo, che vorranno recuperare le proprie bellezze convenzionali invadendo i territori contesi del glamour.

Risse sui marciapiedi si scateneranno al primo levarsi delle saracinesche dei luoghi della bellezza effimera, ed i telefoni per le prenotazioni saranno incandescenti, bruceranno del calor bianco dell’impazienza, del desiderio di porre fine a quell’incontro quotidiano con la figura regredita dall’abbandono che s’affaccia da moltitudini di specchi. Eppure mi sono convinto che l’indugiare nell’ozio estetico, il riappropriarsi della propria natura primordiale, da qualche parte almeno, potrebbe attecchire. L’espressione barbara che in qualche frammento del nostro DNA ci mantiene legati a certi anelli evolutivi perduti, liberata del condizionamento definitivo del senso estetico comune, sia pure per poco, potrebbe riemergere prepotente, come succede alle creature dei boschi che s’avvedono della commestibilità e squisitezza di certi frutti trascurati quando non v’è più traccia di quelli consueti. Li vedo certi affermati professionisti trasformare preziose cravatte di seta inglesi in presidi sanitari anticontaggio o fasce cattura sudore per la fronte; talune ricercate signore di pizzi e leopardi armeggiare in infradito di gomma con tacchi dodici per bucare suoli fertili e porre in sede teneri virgulti di pomodori e zucchine; borsalini che diventano ceste per asparagi e velette e merletti cuciti insieme in reti fai da te per trote e cavedani. Le auto, poi, gigantesche fuoriserie monolitiche, nere e strabordanti, un tempo terrore delle vecchiette ai semafori, con ruote che sgommando rumorosamente sradicavano manti stradali e marciapiedi, parcheggiate a spina di pesce e doppia fila perché masse claudicanti esclamassero “oh” collettivi di stupore ed ammirazione, ora, invece, eccole lì, abbandonate ai bordi dei campi, in riva alla città, trasformate in comodi pollai e conigliere, con le uova ordinate sul cruscotto in radica di noce e la capretta distesa sulla pelliccia dell’ultimo esemplare di una specie estinta. Nei parchi torme di integralisti del sushi si contenderanno panchine con le babysitter per consumare avidamente fette di pane, olio e pomodoro, con spicchi d’aglio il cui olezzo produce il necessario distanziamento sociale, tirandole fuori, con l’unto che le invade, dalle borse di pitone un tempo vanto per le prime. E gli shortini, l’apericena, gli assembramenti sotto i portici del centro? sepolti in una memoria antica per far largo a quella ancestrale di muretti di periferia e fiaschi impagliati di vino spuntato, con le olive in salamoia e fette di pecorino afferrate da mani che mai più vedranno manicure nemmeno se tolgono l’IVA. La catarsi estetica travolgerà un pezzo di questo pianeta, con barbe irriverenti e selvagge, felpe bucate da gocce liberate d’olio di frittura, impertinenti peluche fuori controllo che crescono sotto le ascelle persino di madama la marchesa, scarpe rotte e pur bisogna andar. Anche nei modi non ci sarà freno, e la socializzazione di rumorose digestioni sarà solo la punta d’un iceberg che anticipa il rientro di taluni nella remota nicchia ecologica dei nomadi raccoglitori, mentre gli sguardi ammiccanti tra i sessi saranno sempre più frequenti col crescere esponenziale della produzione di feromoni non più attutiti nell’effetto da deodoranti h24. E però, credo, che chi andrà incontro a certe trasformazioni non avrà più fretta, neanche voglia di mettersi a sbraitare più di tanto, e dopo essersi ripreso un pezzo di sé, magari potrebbe diventare nei modi pericolosamente contagioso, l’untore per definizione, il cattivo maestro.

Per quanto mi riguarda, ammetto che un certo tasso d’abbrutimento io me lo sono portato sempre dietro, per me cambierà poco penso, il fiasco di vino impagliato ed i carciofi trifolati al solito tavolo della trattoria di Michele e Marica immagino li ritroverò dove li ho lasciati. Consumo come certi piccoli diesel, in definitiva abbasso il PIL, sono tra quelli che remano contro già da un pezzo, che danno il cattivo esempio, al più, mi sa, torno a comprare qualche lametta, così, tanto per sostenere l’economia, ma non c’è fretta”.


20 risposte a "Oscure visioni 2 (la vendetta)"

  1. È sparito il mio lungo commento. Mi sono divertita e interessata ,sai tra ribellione e stanchezza ci si ritrova bene. In nolte situazioni, anche difficili mi pare che si presenti in che di umoristico. Basta accorgersene. Grazie Giò

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  2. e se il barbiere di zona è chiuso per malattia? (covid?)

    e a quello di Brescia non si può andare? colpiti da non si sa quale delle 50 sfumature di arancione in uso…

    non sempre l’abbrutimento fisico è una libera rispettabile scelta, a volte è una poco rispettabile necessità; intanto i capelli crescono e imbiancano e quanto più si allungano, tanto più facilmente si diradano…

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  3. Sarà che non amo andare dalla parucchierra e che sono zelante nell’arte dell’arrangio…sarà che già di mio mi trucco poco e che non ho il problema del ridaradarsi dei capelli…..sarà….per il resto ….mi pesa il rosso l’arancio il giallo….e lo scoccare delle 22….persino a Cenerentola furono concesse 2 ore in più 😅

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  4. Rieccoti qui dunque, non avevo trovato il link del tuo nuovo spazio. Fai un’ottima e molto creativa descrizione della situazione attuale, con tanto di signore inciabbattate per il loro orto, poverine, e tutti diventati barbarossa o barbablu ( forse prevalgono di più gli ultimi, visti i dsti sui femminicidi) ma non esistono i tagliacapelli che sfoltiscono le barbe? Ah ah ah 😅 tutti “travolti da un tragico destino”….

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