Per chi… ancora!

Mi viene a sollecito di memoria cosa che ebbi a buttar giù ad impeto di stordimento, che tale stordimento ora pare tale e quale a quello d’allora, che c’è anche certa coincidenza di stagione e tempo bislacco che di vento porta via. E tale vento porta aria di mare lontano che, mare intendo, a non averlo accanto o dirimpetto, pare faccia amplificatore d’infinita stanchezza. Pure le perturbazioni che oggi lasciano posto a presunta primavera mi fecero salire temperatura, che adesso paio in pieno cambio climatico anch’io.

“C’è un tempo in cui devi lasciare i vestiti, quelli che hanno già la forma abituale del tuo corpo, e dimenticare il solito cammino, che sempre ci porta negli stessi luoghi. È l’ora del passaggio: e se noi non osiamo farlo, resteremo sempre lontani da noi stessi.” (Fernando Pessoa)

Quel tempo arriva nelle forme che vuole, quando desidera di farlo, mai si presenta a richiesta, finge di non essere stato invitato, pure se ad evocarlo è stata ogni stilla di sangue e sudore che puoi buttar fuori. Ci hai pensato a quel tempo, in un lasso di tempo infinito, indeterminato, non te ne serve altro. È roba che si consuma a gambe ferme, non quando ti muovi, nemmeno quando ti si muovono le consapevolezze doverose del quotidiano, quando l’abito da lavoro che t’è toccato pare così logoro che non c’è più spazio per immaginare il colore della carne che prova a nascondere. Che è dato a stupirsi pure per la scoperta d’essere colorato in qualche modo, non d’amorfo grigio, che era cosa che desumevi da stanchezze definitive. Si realizza di forme concrete un tempo ancora d’orizzonte, ch’è perso nel chiaro d’una luna, forse nelle cappe del sole di scirocco, nel rosso della sabbia del deserto che s’avvicina a trasporto di libeccio. C’è ancora quel profumo strano, acre, di vita vissuta come viene, pure dovrebbe non esserci, che non c’è distesa di posidonia nelle aule vuote, nemmeno nelle stanze a vista di terminale. Lo specchio pare gioca ogni giorno ad implacabile riflesso d’autore, non fornisce manipolazioni sghembe d’immagine, che non si riconosce mai d’acchito, non fa come riverbero azzurro di mare, che di distorsione fece solo virtù sua.

In quotidiano di lavorio indefesso c’è urlo ovunque, sgraziato e d’artificiosa perfetta fattura, che a natura è altro che frastuono, quando è tuono a spavento pare invece rimbrotto benevolo, strappa sorriso, fa regalo di libertà che non è d’acquisto a svendita. Risorsa da lavoro, si dice, pare compenso per acquisto di libertà, ma quella non è cosa d’un tanto a chilo, non merita che la fatica d’essere vissuta a pieno, che vuol dire avere occhi per compiacersene, non polmoni per respirare la merce che ne è surrogato. Ed è vero, poi, ed alla fine, che il lavoro rende liberi, liberi dal desiderio d’esser liberi, quando te ne sei assuefatto e quel tempo, quando arriva, ci sta che si palesa e non te ne accorgi, che hai dimenticato in fondo ad un cassetto di inutili memorie l’orologio che suona al suo passaggio.


17 risposte a "Per chi… ancora!"

  1. L’insofferenza che s’accompagna alla comprensione è cosa seria. Ha ragione Pessoa, viene un momento, che non è mai il solo, per dismettere, mutare e scegliere. A volte si può, mai senza un prezzo, altre si rimanda a tempi opportuni, ma l’inquietudine più non t’abbandona. Ti auguro che tu possa fare le tue scelte. Poi dentro hai da sempre ciò che serve. 🤗

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  2. Mi pare di ricordare ‘sta cosa che buttasti giù ad impeto di stordimento: c’è vento, il mare è lontano (però, quanto spazio occupa nei tuoi pensieri, sensazioni, idee, stanchezze, ecc.!). Tuttavia, immagino l’entusiasmo degli studenti per le distese di posidonia 😀 (infatti le aule sono vuote: e perché? scioperano contro di te?
    Io andrei a studiare da privatista… Metti una megafoto come sfondo del terminale, almeno 😉
    Da quello che intuisco, dovresti pure avere la febbre, quella della domenica sera, però, ma senza amorfo grigio, ed è già qualcosa.
    Bellissima la citazione di Pessoa: quasi quasi sembra un ottimista, cosa che non credo fosse in realtà… ma può darsi che l’ignoranza mi tradisca.
    E “roba che si consuma a gambe ferme, non quando ti muovi, nemmeno quando ti si muovono le consapevolezze doverose del quotidiano” mette un po’ in agitazione (io sono sempre un po’ agitata di mio).
    Pure il libeccio mi mette un po’ di agitazione, per ricordo di notte passata a riempire circa 10 secchi d’acqua che aveva allagato casa di mammina al mare, usando e strizzando per ore qualsiasi cosa fosse di stoffa e di spugna.
    🙂

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      1. E me ne sono accorta, che non si doma: è passato sotto alla porta. Poi abbiamo fatto mettere un listello di marmo. Lì, il libeccio colpisce forte venendo dall’uliveto alle spalle della casuccia, e non trova ostacoli!

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  3. “C’è un tempo in cui devi lasciare i vestiti, quelli che hanno già la forma abituale del tuo corpo,”
    … e lasciare spazio alla polvere…
    perché… così dicono… ritorneremo tutti… o quasi… a indossare “quel” vestito…
    “Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris.”

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      1. Perfetta descrizione 🙂 No, non è zona mia ma mi piace esplorare il mondo dei vini e cambiare regione (ci sono vini preziosi ovunque in Italia, poveri noi siamo circondati 😊). A proposito, 🍷🍷

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