Equivoci, per così dire!
C’è memoria corta da queste parti, Pare che lanciarono napalm su neuroni, e brava gente si dimenticò d’esser tale per patimento vissuto, per protervia sopportata, per angheria subita. A sconcezza d’ira verso ultimo mi sovviene di fornire memoria d’osservazione diretta, che riporto fedele racconto, nemmeno vi dirò chi lo scrisse e per chi, pure tolsi riferimenti. Magari lo faccio in un altro momento, che dico esattezza d’origine, a ribadire che c’è trave nell’occhio che non pose a veder bene fatto, ma non abbastanza si fece a occlusione di vista per pagliuzza di vicino.
“Quando arrivai, verso sera, l’imbarco degli emigranti era già cominciato da un’ora (…). La maggior parte, avendo passato una o due notti all’aria aperta, accucciati come cani (…) erano stanchi e pieni di sonno. Operai, contadini, donne con bambini alla mammella, ragazzetti (…) passavano,(…) Delle povere donne che avevano un bambino da ciascuna mano, reggevano i loro grossi fagotti coi denti (…) molti erano scalzi, e portavan le scarpe appese al collo. (…) la maggior parte degli emigranti, presi dal mal di mare, giacevano alla rinfusa, buttati a traverso alle panche, in atteggiamenti di malati o di morti, coi visi sudici e i capelli rabbuffati, in mezzo a un grande arruffio di coperte e di stracci. Si vedevan delle famiglie strette in gruppi compassionevoli, con quell’aria d’abbandono e di smarrimento, che è propria della famiglia senza tetto (…). Il peggio era sotto, nel grande dormitorio, di cui s’apriva la boccaporta vicino al cassero di poppa: affacciandovisi, si vedevano nella mezza oscurità corpi sopra corpi, come nei bastimenti che riportano in patria le salme degli emigrati (…) La povera gente si adatta a tutti i vani come l’acqua.

(…) La maggior parte, bisognava riconoscerlo, eran gente costretta a emigrare dalla fame, dopo essersi dibattuta inutilmente, per anni, sotto l’artiglio della miseria. (…) Tutti costoro non emigravano per spirito d’avventura. Per accertarsene bastava vedere quanti corpi di solida ossatura v’erano in quella folla, ai quali le privazioni avevano strappata la carne, e quanti visi fieri che dicevano d’aver lungamente combattuto e sanguinato prima di disertare il campo di battaglia.
Non mi potevo levar dal cuore che ci avevano pure una gran parte di colpa, in quella miseria, la malvagità e l’egoismo umano: (…) tanta caterva d’impresari e di trafficanti, che voglion far quattrini a ogni patto, non sacrificando nulla e calpestando tutto, dispregiatori feroci degli istrumenti di cui si servono, e la cui fortuna non è dovuta ad altro che a una infaticata successione di lesinerie, di durezze, di piccoli ladrocini e di piccoli inganni, di briciole di pane e di centesimi disputati da cento parti, per trent’anni continui, a chi non ha abbastanza da mangiare. E poi mi venivano in mente i mille altri, che, empitisi di cotone gli orecchi, si fregan le mani, e canticchiano; e pensavo che c’è qualche cosa di peggio che sfruttar la miseria e sprezzarla: ed è il negare che esista, mentre ci urla e ci singhiozza alla porta. (…) Una politica disposta sempre a leccar la mano al più potente, chiunque fosse; uno scetticismo tormentato dal terrore segreto del prete; una filantropia non ispirata da sentimenti generosi degli individui, ma da interessi paurosi di classe. (…) Molti visi (…) pareva che serbassero ancora intatte le scaglie del dì della partenza. (…) Tutta la sua persona rivelava la borghesuccia impastata d’invidia per chi le sta sopra e di disprezzo per chi le sta sotto, capace di commettere una vigliaccheria per entrare in relazione con una marchesa, e di dimezzare il pane ai figliuoli per strascicare del velluto sui marciapiedi.

(…) il caldo cocente non era il peggio: era un puzzo d’aria fracida e ammorbata, che dalla boccaporta spalancata dei dormitori maschili ci saliva su a zaffate fin sul cassero, un lezzume da metter pietà a considerare che veniva da creature umane (…). Eppure, ci dicevano, non v’eran più passeggieri di quanti la legge consente che s’imbarchino in relazione con lo spazio. Eh! che m’importa, se non si respira! Ha torto la legge. (…) Si spende tutto a mantener soldati, milioni a mucchi in cannoni e in bastimenti, (…) e alla povera gente nessuno ci pensa (…). lo stavo a sentire con quell’aspetto quasi vergognato col quale tutti oramai ascoltiamo le querele delle classi povere, compresi del sentimento d’una grande ingiustizia, alla quale non troviamo riparo nemmeno nell’immaginazione, ma di cui tutti, vagamente, ci sentiamo rimorder la coscienza, come d’una colpa ereditata. (…) Ce n’eran di quelli che non avevan più mangiato un pezzo di carne da anni, che da anni non portavan più camicia fuor che i giorni di festa, che non avevan mai posato le ossa sopra un letto, e pure avevan sempre lavorato con l’arco della schiena.

(…) Voi accoglierete bene questa gente, non è vero? (…) Son buoni, credetelo; sono operosi, lo vedrete, e sobrii, e pazienti, che non emigrano per arricchire, ma per trovar da mangiare ai loro figliuoli, e che s’affezioneranno facilmente alla terra che darà loro da vivere. Sono poveri, ma non per non aver lavorato; sono incolti, ma non per colpa loro, e orgogliosi quando si tocca il loro paese (…); e qualche volta sono violenti; ma voi pure, nipoti dei conquistatori del Messico e del Perù, siete violenti. E lasciate che amino ancora e vantino da lontano la loro patria, perché se fossero capaci di rinnegar la propria, non sarebbero capaci d’amar la vostra. Proteggeteli dai trafficanti disonesti, rendete loro giustizia quando la chiedono, e non fate sentir loro, povera gente, che sono intrusi e tollerati in mezzo a voi. Trattateli con bontà e con amorevolezza. Ve ne saremo tanto grati! Sono nostro sangue, li amiamo, siete una razza generosa, ve li raccomandiamo con tutta l’anima nostra! (…) La maggior parte delle creature umane è più infelice che malvagia e soffre di più di quella che faccia.”