Escapologia

È una bella soddisfazione sapere che da una finestra posso procedere per libri per birre per vecchi amori e da questi raccogliere sogni sufficienti per filarmela attraverso la porta di servizio.” (Gregory Corso)

Che da quando mi annessunai e lasciai l’altro me a farsi barchetta a sganghero nel mare in tempesta di quotidiani, mi crebbe, ad ogni onda d’asperità ch’ella affronta, desiderio infinito di ricerca di fuga, anelito di oltre mare, forse solo d’altro mare. M’aggrada sempre più farmi a parte esatta d’opposto, che resto del mondo fa a resistenza di bufera a stazza esausta ed io invece propendo per derive con accompagnamento di sacco leggero a poche cose necessarie, condotte per sopravvivenza. Poche cose esatte che furono di libro mai letto, pure lapis e moleskine per quello che desiderai scrivere ma non me ne fu dato tempo, forse neppure specifica volontà, fiasco a colmo di rosso che pare cornucopia che non s’esaurisce, fetta di pane ad olio nuovo e pomodoro, tabacco per quanto basta. Mi avventurerei a latitanza perfettissima, permanenza di clandestinità, che non vi fu verso d’essere rintracciato a cattura di carcere a fine pena mai, che mio nascondiglio fu tale che nessuno ne fece a localizzazione, essendo ch’esso s’ubicò a mondo intero, pure non vi fu smania collettiva di cattura di tal nessuno che non lasciò segnale di niente a suo passaggio. Lascerei mio altro solo a far specchietto per allodola, a carico supremo di pare Titano, a farsi rodere fegato qual Prometeo incatenato, ch’io, al più, mi faria mozzicare da zanzara impavida.

Mi farei tal viaggio, pure da fermo e fronte mare, che Ulisse parrebbe creatura sedentaria, vil cozza ad aggrappo di scoglio, Né mi feci passione altra che non sia prospettiva d’orizzonte, desiderio che sia tale a sé stesso pure ad oltre curva di mappa infinita, e che nell’oltre dove sarò troverò un altrove che pare altro che si ripete ad libitum, come suono che ci piace e che non si scrosta da testa a canticchio in perennità. E più sarà bufera più le mie vele di carta straccia e mosaico di cicche spente si gonfieranno per spinta di tal velocità ch’apparirò fermo, Meglio guarderò lontano più l’occhio indugerà su meraviglia di vicino. E più il mare dinnanzi sarà bufera, più si farà piatto a lastra, così fermo che mi darà l’idea che qualunque cosa ci si possa lanciare sopra poi rimbalza. Mi sfiorerà l’idea che posso mettermi a camminare sulla sabbia per contare quante orme riesco a fare. Mi sfiorerà, appunto, soltanto, prima di vedere dove potrò fermarmi e che basteranno per quello solo pochi passi. Il tempo non ci sarà lì. Non serve di misurarlo. Solo ne preserverò espressione intima, memoria, anzi, memorie. Scandirò e declinerò quelle passate sopra quelle dell’ora, forse persino le future, le leggerò meglio, eventualmente, nel diario del viaggio che sarà. Solo le memorie restano, la mia, con cui non m’avvedrò più di aver giocato, girandola e rigirandola tra le mani, per ore, come con un murex svuotato da un Bernardo eremita che ha cambiato casa. Quelle d’altri, di mercanti fenici e pirati saraceni, di torme di Ulissi e precipitose fughe tra le mura di castellacci sgretolati dalle onde. Quelle di avanzate improvvise di lenze ed ami alla prima bonaccia, d’urla di tonnare, di vele strappate, di cercatori di fortuna, di disperati che aspettano approdo per l’essenza del desiderio. È allora che tornerò a casa, ma senza saperlo sarò partito e non tornerò, poiché, che lo voglia o meno, il mare m’ha inghiottito dentro, m’ha fatto approdo e deriva al contempo. E non se n’abbiano a male altre creature che a mio cospetto quotidiano s’avvedranno di me in fatta finta, come serioso ed ossequioso niente che fece fuggire il sé nessuno in direzione opposta e contraria a desiderio d’immaginario a senza immaginazione.


27 risposte a "Escapologia"

      1. grazie per avermi fatto leggere il tuo post/articolo…
        bellissimo e commovente allo stesso tempo…
        “le barche… che loro sanno cos’è il pudore.” …metafora di altri tempi… forse dovremmo imparare da loro…

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