La lettera che non ho scritto

Che ad approssimarsi di fine degli esami, a catena di montaggio studente dopo studente passa a schiera esatta sotto occhio attento di inquisizione a domanda, mi sovviene cosa che vale ancora e che, dopo suono di musica, oppure assieme, vi rimando che è ancora valida.

“Tutte le volte, poi, mi viene che alle mie alunne, ai mie alunni, in luogo di pagellina, scriverei una lettera, se solo potessi consegnargliela, a quelli che non ho più, che hanno preso strade diverse, talune fortunate per com’è dato di pensarle, talaltre meno di soddisfazione. a quelli che ho, a quelli che avrò. Scriverei in lettera che, mentre termino rendiconto a numero di quanto valgono, mi volevo scusare, che per pigrizia, per vigliaccheria, forse, non me ne sottrassi, non m’opposi, a parziale discolpa addurrei che taluni mi mandano rate di mutuo e bollette da pagare.

Alle mie alunne, ai miei alunni scriverei che in questi anni ho agito da cattedra lontana, non per distanziamento asociale, quale imposto da protocollo, ma da mero esecutore materiale d’ordine sbagliato di burocrate, di cui fui consapevole come soldato che saluta i propri commilitoni per missione suicida. Alle mie alunne, ai miei alunni scriverei di farmi scendere da pulpito che non m’appartiene, che fingo sia mio per pudore di dirgli che me lo imposero come non volevo. Alle mie alunne, ai miei alunni, che richiamai al compito scritto, al test a croce, non raccontai mai le cose che ho appreso, non me ne fu dato tempo, nemmeno modo, né cercai quel tempo e quel modo, forse per pigrizia, per ignavia. Che d’Archimede disegnai formule geometriche, ma non mi fu dato tempo di parlargli delle sorprese della sua scienza, della Biblioteca d’Alessandria dove si formò, dell’odio suo per la guerra, cui dovette partecipare per volere di tiranno contro tiranno. Che se gli parlai delle meraviglie di natura, non ebbi tempo di spiegare che sono loro più dei panni a firma che indossano, e che, quelli stessi che m’impongono di metterli in fila, di targarli a voto, gliele mangiano ogni giorno, o le danno a cibo per porci che non grugniscono, atteggiati a Bel Paese in doppio petto. Alle mie alunne, ai miei alunni scriverei che avrei voluto dirgli che adesso tocca a loro, ch’io e quelli come me hanno fallito, di non credere d’essere liberi, nel qual caso mai lo saranno, che mi facciano vedere che può andare a finire in altro modo di quello ch’è già scritto. Alle mie alunne, ai miei alunni scriverei che m’avrebbe creato solluchero ascoltare le loro storie, sapere chi sono, seduti in cerchio. Che quello era da fare, che ridere d’un riso solo è d’obbligo per mondo libero, e invece passai tempi e tempi a relazionare a numero esatto per sapere di tabellina, di formula, di legge di frodo. Per dirgli che sapere pure serve, che rende liberi, non il lavoro, che basta guardare in faccia il loro vecchio professore per dimostrare il teorema. Che sapere serve per sé, non per un voto qualunque per cinquemila lire in premio di nonno s’è buono. Alle mie alunne, ai miei alunni scriverei che sono nessuno, roba facile da dimenticare, che li ho delusi, pure se non lo sanno, che talora mi dimostrano tale affetto che più mi rende colpevole di non averci provato meglio, per stanchezza, forse.”


37 risposte a "La lettera che non ho scritto"

  1. Ho avuto una professoressa che insegnava italiano, storia (alle medie) e uno alle superiori (che non ho finito), che mi hanno dato gli strumenti giusti per vivere la libertà, e non l’omologazione. La scuola serve a questo: cultura si, ma c’è bisogno di altro per cambiare. Un grazie da parte dei tuoi alunni, che spero lo capiranno con tempo.

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  2. Ti vedo guardando verso l’alto, occhi chiusi, a ricordare fugacemente ad ogni fotograma, visi, voci, cognomi.
    Dev’essere stato molto rassicurante, avere un prof come te, peccato che il format lo imponga, chissà di quante storie di vite ancora non vissute avresti potuto soddisfarti.
    Bellissima ed eschieta esternazione.
    Buona giornata 👍🌷

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  3. Forte della tua lettera non per lodarti a complimento ma a sogfetto persona dico uomo tu come hai fatto a nasconderti dietro un dito ? Magia improbabile allora anche se non hai trasmesso tutto quello che avresti voluto sono certa che ti sei espresso per quello che sei,un bel Nessuno ! Loro , “i tuoi alunni” ci sentono e ci vedono , hanno “fiuto per la musica” . Giò questa è la mia sensazione è la mia idea . Essere autocritici ci sta dai, senza esagerare.
    Che bella lettera ! Ciao

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  4. Mi piacerebbe averla ricevuta una lettera così da un mio professore, ma capisco l’impossibilità di un atto libero in questo nostro mondo.
    Mi è molto piaciuto ciò che hai scritto, e capisco quanto deve essere duro il tuo lavoro, ma anche bello in fondo credo. Non fosse altro per i semi che, volente o nolente lasci.

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