Torna a furor di popolo Radio Pirata, che s’è fatta numero Sessantacinque, traguardo d’invidia autentica per chi non fa giro di boa nemmeno a sessantaquattro. E torna con convincimento ch’è di necessità assoluta far musica e notiziola in qua ed in là, per scovar talento dove talento c’è, a dar possibilità d’emergere a giovane che ha penna facile e vuole darlo a vedere al mondo intero. Che Radio ha volontà di talent scout e si da vetrina a giovane che vuol far di sua scrittura affermazione ad applauso. Ma andiamo subito con musica giusta che settimana comincia di lunedì e detto lunedì è di tali nebbie che ad allietarlo in nota non si fa etto di danno.
Che c’è settimana che si chiuse che odora di zolfo e piombo, per escalescione di guerra a parte del mondo che fu tutta. Che guerra fa a bombarda anche a chi non s’avvede che bomba casca su testa sua perché non sentì botto chiaro e si fece domenica a mangiar pizza tranquillo per scontrino da ecatombe. Che detta guerra è ‘ndo cojo cojo, ma sempre fa centro precisissimo a tale che ebbe a disgrazia di nascere di manto disgraziato, e se s’è fatto malato poi non trova cura che medico ed infermiere, pure medicina facile facile, non c’è per acquisto mancato a sottrazione di finanza, che quella, finanza, serve a far cosa buona e giusta che fu smercio di boma per guerra a dritta e manca.
Ambasciator non porta pena, si disse a saggezza antica, ma antica saggezza è superata e si bombarda ambasciata con tanto di morto e ferito, che se poi taluno che si vide recapitar ambasciator a modo di Attilio Regolo s’altera, – che già era ad alterazione permanente – fa a lancio di ogni cosa a modo pure lui per far morto e ferito. Ma che sia ora spazio a giovane virgulto di penna, ch’egli ritiene interessante messaggio suo, a speranza nostra che non faccia crollo di esagerata audience di Radio Pirata. «Quando i ricchi si fanno la guerra, sono i poveri a morire.» (Jean Paul Sartre) E meno male che fu sintetico, che se continuava a dirla lunga a fatto d’accumulazione di baggianata c’era rischio che audience di Radio Pirata si faceva colo a picco in un tempo di niente.
E quella che se ne andò fu anche settimana di strage che pare coazione a ripetere, in luogo di lavoro dove per sicurezza di risparmio non s’aggiunse troppa altra sicurezza. Che pare cosa non troppo a fatto occasionale che uno se ne va a lavoro, saluta a casa affetti o solitudini, a seconda dei casi, si accomoda a far fatica, poi non torna. E se affetti furono colti d’improvvisa devastazione, pure solitudini, che per cosa conclamata paiono d’anime migranti, pare urlino cose di disperazione. «Attraverso fitte di dolore, ore, squadre e livelle, il job diventava una realtà familiare, una sensazione nuova, brivido di uomini e pietre ed acciaio. Era un gioco, una corsa, una partita, in cui tutti erano attori muscolari, dal fischio del mattino a quello della sera, ed egli era uno di loro. Era giorno di paga e fra poche ore la busta avrebbe segnato un breve armistizio. Era la guerra per la vita, e Paolino era un soldato. Non era come al gioco delle biglie, dove giocava per divertirsi; era un vero assedio, un assedio condotto da uomini maturi e accaniti contro una fame sempre in agguato, contro il nemico ereditario.» (Cristo fra i muratori, Pietro Di Donato) E pure noi abbiamo dato l’obolo d’apparizione a quest’altro che anela a fama imperitura, ma se continua a scriver ad affondare successo di Radio Pirata con insopportabile retorica pauperista, più che fama si becca fame. Che noi, ad altra sorte adusi, mandiamo musica ch’è meglio assai.
E c’è grande isola che si fece matrigna di tenutario di direzione artistica di Radio, che pare essere a secco come piscio di cammello in deserto. E c’è ovvietà in questo che temporalone si ferma, che a traghettamento lento ed infingardo ci vuole tempo indefinito, così rinuncia ad attesa e scarica acqua ad un altrove a bidonata che fa danno, pure a chicco di grandine a strigliar tetto di decappottabile a lusso precisissimo. E prima che isola a forma di tre – che di perfezione fece a meno per esclusiva modestia – si boccheggia di sete, c’è fortuna che s’ebbe direttorio illuminatissimo di levatura cosmica che disse ponte sia, che tutto si sveltisce, pure tasca si piena assai e rapida e a pienare serbatoio poi ci si pensa, se me lo ricordo. E prima di cedere la parola ad altro giovane cercatore si sorti buone per minchiate scritte a cottimo, per non bombardare l’ultima speranza d’un qualche ascoltatore di Radio, andiamo di musica.
«Il ponte sullo Stretto? Personalmente mi sta benissimo, a patto di non sovrapporre metafore e simboli indebiti ad una operazione di semplice ingegneria. Voglio dire che non sarà il guadagno tecnico di poche ore nei tempi di traghettamento a modificare o a guarire la nostra vocazione claustrofila e il vizio di fare della solitudine un trono e una tana. Caso mai sono altre le conseguenze che l’ evento (se accadrà) si porterà dietro: di favorire lo smercio e la circolazione dei nostri vizi nel resto della penisola; e di aizzare le nostre virtù a degradarsi più velocemente nell’ omologia generale dei contegni e dei sentimenti. Poichè con le isole il punto è questo: sono di per sè parchi naturali e riserve dove lo “specifico” indigeno resiste più a lungo: sicchè rimane sempre da sciogliere il nodo se convenga tutelarle a costo di sequestrarne anche le più selvagge memorie, o spingerle verso una moderna ma ripetitiva e anonima identità. Insomma è la solita solfa del contenzioso tra passato e futuro, natura e cultura, lucciole del pre-industriale e chimiche del post-industriale… Il ponte ovviamente giocherà a vantaggio di questa seconda ipotesi, benchè non molto più, credo, di quanto abbiano già fatto l’ Alitalia e l’ Autostrada del Sole. Resta da vedere se e come esso possa contribuire a renderci più italiani. Qualcuno dubita che non lo siamo abbastanza o che desideriamo non esserlo più. Proprio su la Repubblica (31 agosto) Arbasino ci attribuiva una smania di staccarci dalla nazione e ce ne concedeva licenza. Obietto che, dai tempi di Salvatore Giuliano, fra le maschere sanguinose della mafia il fantasma del separatismo non è più ricomparso: e che oggi un eventuale referendum secessionista non raccoglierebbe in Sicilia più di mille o duemila suffragi… La verità è che fanatismo regionale e fermenti antiunitari sono da noi assai meno vigorosi e loquaci che non in tanti altri luoghi d’ Italia, dall’ Alto Adige alla Sardegna, dal Veneto alla Val d’ Aosta. Basterebbe, per appurarlo, una gitarella a Messina… Con tutto ciò, come negare l’ esistenza del tumore Sicilia e delle sue minacciose metastasi d’ esportazione? E’ un morbo vecchio di secoli, ma non saranno nè la segregazione nè l’ aggregazione a salvarcene: nè una chirurgia che ci amputi, nè un ponte che ci concilii. Occorrono cure diverse, e io dico timidamente: libri e acqua, libri e strade, libri e case, libri e occupazione. Libri.» (Gesualdo Bufalino, su La Repubblica, 19 settembre 1985 su la Repubblica)
Meno male Prof che c’è la buona musica ad allontanare i fumi…..
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Su Radio Pirata buona musica sempre, per il resto… Sic!
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🙈👍🏻
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Molto sic!!!…..
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Tanto, mi sa, sic!
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Meno male che con la tua buona musica riusciamo a tirare un sospuro perché qui si finisce col soffocare 😌
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E la musica buona è sempre aria fresca 🎶
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Una serie di misfatti impietosa ! La buona musica serve per prendere una boccata di ossigeno ! Notte
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Notte buonissima a te, con aria salubre sempre.
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Pure a te buonissima e salutare certo !
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bello il pezzo di Bufalino. La Sicilia deve restare un’isola con tutti i pro e i contro che ciòcomporta. Il Ponte è solo scambio di soldi, truffe, arricchimenti dei soliti noti o ignobili che dir si voglia.
e poi si sa che non verrà mai fatto eppure stanno procedendo per l’ esproprio delle terre! È una cosa che mi stimola una rabbia infinita.
la musica è ottima, come sempre.
Grazie, Giò.
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Il ponte si fa per non farlo, ho riportato non a caso il testo di Mastro Don Gesualdo che è del 1985. Servisse almeno a creare speranze, ma chi ebbe natali a scogli bagnasciuga sa bene che nati non fummo per essere – necessariamente – bruti. Magari pure sporchi e cattivi, in odore di santità per pazienza
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E a te grazie assaissimo, come sempre che par poco 🙂
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Emblematico il pezzo di Bufalino, uno scrittore molto sottovalutato ma che merita molto più rispetto di quello che ha avuto finora.
Gli isolani sono isolani e basta. Non vogliono essere contaminati da specie improprie. Questo vale per tutti.
Se non ci fosse Radio Pirata, bisogna inventarla.
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Ma grazie assai, riporterò il tuo apprezzamento alla direzione della Radio, se sono sobri gradiranno😄 e si, Gesualdo Bufalino è stato un grandissimo scrittore, dotato di arguzia notevolissima e di una scrittura sempre sorprendente.
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Qual’è il momento buono perché siano sobri?
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Bella domanda, mi informo. Io non li ho mai visti così 😄
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Beh! almeno quando dormono.
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Posso provare a svegliarli all’improvviso 😄
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Sì, sì! Però con garbo! Non vorrei che si spaventassero troppo.
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No, no, sarò delicatissimo.
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Bene. Poi riferisci
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Riferisco senz’altro. 🥂
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Bene
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Essendo siciliano metto in risalto questa tua frase che condivido pienamente (come del resto tutto l’articolo) “Poiché con le isole il punto è questo: sono di per sè parchi naturali e riserve dove lo “specifico” indigeno resiste più a lungo: sicché rimane sempre da sciogliere il nodo se convenga tutelarle a costo di sequestrarne anche le più selvagge memorie, o spingerle verso una moderna ma ripetitiva e anonima identità.” Ovviamente sono per la prima, anche se così contraddico la scelta (obbligata) di andar via dall’amatissima Sicilia
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Eh, caro Marcello, ma noi siamo di quella categoria che Nisticò definì siciliani di mare, con la valigia in mano a prescindere, in contrapposizione a quei siciliani di scoglio, che come cosse non si staccarono dalla matrigna che li partorì. Ma sappiamo bene che nella valigia non c’entrava quel pezzo di cuore che lasciammo proprio sullo scoglio nostro e che talvolta cerchiamo nell’altrove che decidemmo di vivere. Senza successo, con quella consapevolezza del luttuoso lusso che ci tocca, che fu d’essere siciliani.
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Grazie, caro Gio’. Questa tua risposta, che tanto acutamente descrive i diversi di “sentire” la sicilianità, mi consola e nel contempo accresce la mia malinconia. Di cuore il mio grazie 🙏🤗
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Sono io che ringrazio te Marcello, ché certe cose, certe riflessioni hanno un senso se davvero paiono condivise.
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🙏🤗 Condivise, certo!
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Io non so se sei riuscito a scaricare questa piccola cosa che ho condiviso sul blog, che raccoglie certe memorie di una pre-partenza da un luogo imprecisato, e forse è quello il nostro, o comunque ci somiglia. Ti lascio qui il link di nuovo sperando che possa farti piacere ed un grande abbraccio. https://chiedoaisassichenomevogliono.files.wordpress.com/2024/03/il-lungo-viaggio-1.pdf
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No, non l’ho notato. Grazie del link. Provvedo subito e ti saprò dire. Grazie.
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E io ti ringrazio, perché il tuo parere mi sarebbe assai gradito, anche perché non ho mai deciso di cosa farne di questa cosa, se pubblicarlo (e bisognerebbe vedere quale editore se lo mette sul groppone) oppure farne un pezzo di teatro, o semplicemente lasciarlo andare così, come un messaggio nella bottiglia. Ancora un grazie di cuore.
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Ho visto che sono una sessantina di pagine. Dammi il tempo di leggere (a video non mi riesce agevole) e poi ti dico. Con gli editori si va a fortuna. A presto.
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Scusa, ti ho mandato il formato con le immagini e più piccolo. Questo è molto più snello. https://chiedoaisassichenomevogliono.files.wordpress.com/2024/03/il-lungo-viaggio.pdf
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Grazie, ma le immagini contano, fanno parte del racconto. Comunque scarico anche questo. Grazie ancora.
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Sulle immagini sfondi una porta aperta. Un buon tutto Marcello.
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Quello senza immagini davvero più snello. Grazie ancora
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