Ogni ladrone ha la sua devozione (Allonsanfàn parte diciannovesima: i Santini di Raffaello De Vito)

Non c’è passaggio umano, cambiamento d’una qualche fatta che non abbia preteso martiri, vittime sacrificali. Il santo è sempre – o quasi – martire, il miracolo è la prospettiva che scaturisce da quel martirio. Ed il martirio è una sorta d’espiazione per una condizione che è già di per sé sacrificale, appartiene agli ultimi. La devozione più profonda, pure nella religiosità archetipica, nella sua simbologia, è la rievocazione del sacrificio, il martirologio è punto di riferimento della fede, in realtà nasconde prospettive di trasformazione.

I Santini, tweet ante litteram, che raccontano vicende di sopraffazione, di martirio, appunto, hanno rappresentato per tantissimi una sorta di protezione dalla stessa tragedia. Ogni categoria sociale ha il proprio riferimento nel santo che ha fatto da parafulmine, ha pagato per i posteri, in qualche modo li ha liberati dal patirne le stesse pene. Ed è protezione semplice, a portata di tasca, borsetta, portafoglio, promemoria di un cambiamento avvenuto con il sacrificio, con l’esempio. Hanno iconografie apparentemente semplici i santini, al tempo ricercate, ché ogni dettaglio non appare superfluo, è narrazione atipica, semplifìcata ma al contempo esaustiva. Il punto è che la categoria degli ultimi, in definitiva dei martiri non pare esaurirsi nella iconografia classica. Raffaello De Vito coglie l’enorme portata simbolica della trasmissione del messaggio sacrificale che era nel “santino”, ne amplia la rappresentazione all’infinita platea degli ultimi. La sua è ricerca anche fisica, negli ambienti più consueti di quella presenza, chiese, monasteri e negozi di ecclesiastica. A quei soggetti ridisegna i contorni e non v’è in questo alcuna volontà blasfema, al contrario coglie la formidabile dirompenza di immagini iconiche di farsi mappe concettuali per veicolare i nuovi martirologi. Cambia i volti dei santi, le loro effigi classiche, i protettori degli ultimi lasciano solo impronte delle proprie gesta, cedono il posto alle nuove vittime della società involuta, fanno spazio a nuovi santini che, come i vecchi, presumono d’avere capacità esorcizzanti il declino d’umanità private della propria stessa essenza.

La tecnica che Raffaello usa è raffinata, egli è conoscitore abilissimo di grafiche, fotografie ed immagini. Subordina le sue competenze ad un processo di riscrittura autenticamente “umano”, trasforma il mito religioso in quotidianità, compie il passaggio inverso rispetto al canonico: il santo, nella iconografia classica, ha un nome, è la parte per il tutto, s’identifica nell’ultimo che si sacrifica per il resto d’intorno, per dare una possibilità ancora col proprio sacrificio, con la propria testimonianza ed opera, a chi soffre condizioni di privazione, di vessazione, di prevaricazione, sfruttamento, violenza; in epoche in cui l’esempio virtuoso pare ombra fuggente, quasi violazione di norme comportamentali non scritte ma esattamente codificate, nei santi di Raffaello è la pletora degli ultimi che parla in prima persona, si fa soggetto collettivo che produce voce corale. Il martire non è più uno, si fa moltitudine, schematizzata nell’immagine mutuata dalla tradizione. Questa di Raffaello è operazione coraggiosa, straniante come poche, in divenire giacché i nuovi martiri sono elenco che non pare abbia fine, donne vittime di femminicidio, di regimi feroci, vittime dei cambiamenti climatici, migranti sfruttati, bambini sotto le bombe, preda di pedofili, ma anche schiavi delle nuove tecnologie, e poi lavoratori che muoiono sul posto di lavoro, medici ed infermieri che hanno contrastato il Covid e da eroi divennero nessuno. Ognuno può aggiungerne altri, quelli che gli pare, ché ogni ladrone ha la propria devozione.


26 risposte a "Ogni ladrone ha la sua devozione (Allonsanfàn parte diciannovesima: i Santini di Raffaello De Vito)"

  1. UN tempo, se incontravi un prete, dopo una breve chiacchierata potevi esser certa che ti rifilava un santino, di qualsiasi santo, non importava; se li portavano in tasca per distribuirli. Ora non succede più da molto tempo. Quando all’università studia le storie dei santi per l’esame di arte medievale, ciò che arrivai a pensare fu: i santi siamo noi, ognuno di noi; o meglio, ogni santo è una parte di noi. Un po’ come erano gli dei dell’Olimpo per i greci di un tempo. I santini hanno sostituito le statue degli dei. Anche l’iconografia si ripete, a volte. E ci ho pensato negli anni a sto fatto, che i martiri sono i santi che vanno più di moda, da un po’ di secoli a questa parte; non è che ci hanno convertito a un credo inconscio di chi è dedito alla passiva sopportazione, per caso? Mah… fatto sta che gli dei di un tempo, reagivano; quelli di adesso, quelli dei santini, si limitano a subire.

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      1. Sai che c’è? C’è che questi santini li ho visti dei frame dei video per tre anni, insistentemente, martellanti e onnipresenti, proprio questi… non lo so se l’obiettivo è quello di ribaltare il paradigma; di certo mi ha smosso una oramai collaudata diffidenza. Gli spot pubblicitari contemporanei mi fanno lo stesso effetto. Ma bisognerebbe sentire l’artista cosa dice. Santificare certe idee, certe dottrine è ciò che si sta facendo da anni… ma la gente non se ne rende conto. E forse non se ne renderà conto nemmeno questa volta.

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      2. Non so se ci si rende conto che ad un certo punto tutti i riti, o rituali legati alla questione pandemica assomigliavano moltissimo a un religione; e come tale, chi non seguiva i dettami della dottrina veniva, e viene, considerato blasfemo ed eretico. Lo stesso valeper i rituali legati alla questione ambientale, dovedei leader (o santi votati al martirio?) portano avanti una battaglia che molti defniscono “sacrosanta”, una crociata che non ammette discussioni o interferenze, con tutto quel che ne consegue. Non so se ci si rende conto che molti messaggi vengono travisati e santificati in nome di una verità diffusa ad arte, con mezzi potenti e messaggi altrettanto impattanti, senza possibilità di replica o discussione. Non so se lui sta in questo calderone, o se come artista critica tutto ciò, perché dal tono del tuo post, perdonami, ma non si capisce la netta presa di posizione.

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      3. Il mio punto di vista riguarda un’espressione artistica che trovo molto efficace ed innovativa perché è divergente rispetto al consueto. Sulle questioni che veicola io ho le mie idee, alcune le esprimo su altre mi astengo per questioni che attengono esclusivamente il mio vissuto.

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      4. I santini ai quali mi riferisco sono le immagini che portano alla santificazione di alcune figure professionali, alla resa di martiri di altre… all’iconografia diffusa di chi viene usato dalla narrazione mediatica per portare dei messaggi mirati e ben studiati, al fine di creare un’ideologia precisa. E’ un lavoro di comunicazione che va avanti da tempo, ma al quale come destinatari ultimi si è talmente assuefatti, che difficilmente ci si rende conto. Per rendersi conto occorre essere ben svegli… e forse un artista lo può vedere e criticare, o farsene promotore. Dipende…

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      5. Tutti abbiamo i nostri lutti da rispettare, recentissimi, tra l’altro. E non volevo farti parlare d’altro… ma se pubblichi qualche cosa di interpretabile e che tocca palesemente un argomento, a meno che non vi siano veti, io cerco di capire, tutto qui.

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  2. Rappresentare in maniera distorta, “altra”, una certa ideologia (la chiamo brevemente così), non significa voler imporre un’altra, ma distruggere, in maniera ironica e creativamente molto bella, certi modi di pensare, fare o percepire il mondo da ‘pensiero unico”., allo scopo modo di preparare il terreno per un pensiero libero.
    Complimenti all’autore.

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  3. Il santo , per me, non e’ colui che subisce la realta’ , né tantomeno la combatte. Il santo e’colui che si da per amore. E’colui che va oltre la.personalita’ e ha come meta la manifestazione della verita’e si incarna come manifestazione di essa dandosi completamente.Sui santi proclamati dalla Chiesa dico che moltissimi non lo sono stati, vedi Cirillo per dire che fece uccidere Ipazia. Sempre il potere guido’la Chiesa nelle sue gesta e santificazione. Sulle opere la penso come Elena . Comunque A love supreme e’ celestiale . E Coltrane un santo. 🙂

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