Lascio la Mancha

Che non è refuso il titolo, che Mancha è Mancha e non mancia. Neppure è che sono rimasto senza spiccioli. Al limite senza niente. Che Don Chichotte a me piace, mi fa impazzire, m’affascina. Quando, lancia in resta, a dorso di mulo, si trafigge di pale di mulini, lo trovo sublime, geniale. Con la pazzia che compete a chi s’assume responsabilità di denuncia della malattia del mondo intero, m’ha estasiato tante volte – tante – e tutte quelle che ne lessi l’insane gesta.

Però, l’estasi, me la procura perché faccia al mulino ci va lui, che a me non m’è d’uopo. A quell’altro me, che s’affanna del tutto d’intorno, forse si. Io ci rinuncio, con un certo sommo gaudio. Che, pure se volessi, non potrei donchisciottare, non saprei cosa fare, nemmeno come, che mi mancano punti di riferimento, coordinate certe, certezze precise, in definitiva comprendonio. Che c’è una pletora di lottatori indefessi che difendono la Costituzione, lancia in resta, pure loro, e beati loro. Che si tirano un paio d’articoli, a destra come a manca, che ne denunciano sistematiche violazioni, ma proprio per quei due o tre, al massimo, che degli altri gliene sconfinfera il giusto. Me ne sovvengono un paio, che ne so, 46 e 47, che dichiarerebbero illegittimo mezzo paese, dimenticati per l’oro alla patria del senso di responsabilità richiesto a chi ha schiena curva. Scoliotici, scifotici, lordotici, non s’avvedono di deformità, digrignano gengie su piazze social, contro potere e potenti, reziari nell’arena per solluchero di potere e potenti, s’agghindano a far da gocce che gli arricchiscono l’oceano. I primi, dal canto loro, puntano a lune e marti, giacché gli ultimi, soddisfatti d’aver capito, d’avere urlo esatto, da lancia s’addivengono a vanga, e ci si scavano miniere di zolfo. Tutti, sorpresi dall’aver voce, o forse io e basta, con qualcuno sporadico, semmai, pare che ci siamo ciucciati francobolli di segale cornuta, per visioni d’asini volanti e pipistrelli a terme calde nel caffellatte. Così, mi decido, mi faccio Repubblica. I confini me li disegno a sampietrini, che con loro ci parlo, pure mi capisco. Quell’altro me lo lascio fuor di patria, col suo nome, col suo cognome, che la mia è terra di nessuno, e lui s’atteggia a qualcuno. Mi faccio neutrale, Svizzera senza banca, al massimo libretto postale. L’inno me lo cambio a piacimento, di vino mi feci virtù ad ogni articolo di carta costituzionale autoprodotta. M’arrocco senza rocca, m’attrezzo ad esercito spuntato, che la bandiera della terra mia è bianca. M’arrendo, a prescindere, che così ho già vinto.