Libere parole

A riprendere cose vecchie sono di abilità incommensurabile, ma me ne ritorna una precisa che quasi me ne ero perso la memoria, che poi è cosa che attiene al fatto che se mi metto a scrivere ci sono volte che mi serve per legittima difesa. Ché quando mi ritiro in detta nicchia c’è ad avvenimento di distacco di neuroni da altro, e metto a riposare quelli a fatica di quotidiano avvilimento, non foss’altro che per evitarne precoce disarmo.

“Ci appartiene quello che scriviamo? Chi lo sa? Penso che ognuno risponda per sé, decide cosa farne delle sue parole, di quelle che dice in confidenza, di quelle che urla ai quattro venti, di quelle che scrive in lettera riservata, o libera nella rete (che ossimoro vertiginoso). Io sono nessuno, dunque le mie parole sono di nessuno, chi le vuole se le prenda pure, che le scrissi liberamente, dunque sono libere, non anelano a proprietà. Vado un tantinello di musica, così, come atto liberatorio.

Scrivo per desiderio di rendere libere le parole, consentire loro di farsi viaggio. Talora ne trovo già scritte, che volano da altri quaderni, e che somma soddisfazione quando paiono esattamente quelle che avrei voluto scrivere io. Capita che le trovi esatte e giuste nel momento stesso in cui concepii quello stesso pensiero, e chi se ne frega se non ne ebbi l’imprimatur, che a me “l’ho scritto io” non importa. Proprio ora m’attrezzavo a buttar giù una cosarella e la trovai d’altro. Che meraviglia le convergenze tra gente lontana nel tempo, nello spazio.

Tu non sei nato per la morte, uccello immortale,
né ti calpestano generazioni affamate;
la voce che sento in questa notte fuggente fu udita
in tempi antichi da imperatori e buffoni,
e forse è lo stesso canto che si fece strada
nel cuore triste di Ruth quando la nostalgia
la fece piangere nei campi stranieri,
lo stesso canto che tante volte ha incantato
finestre magiche aperte sulle schiume
di mari mossi in terre perse incantate…

(Ode a un usignolo VII. John Keats)”

E caso mai un piccolo Lungo viaggio a disposizione vostra.