Il nulla oltre il niente

«Esiste una specie di morti viventi, di gente banale che a malapena ha coscienza di esistere se non nell’esercizio di qualche occupazione convenzionale. Portateli in campagna o imbarcateli su una nave e vedrete quanto si struggeranno di nostalgia per il lavoro o il loro studio. Non sono mossi da curiosità, non sanno abbandonarsi alle sollecitazioni del caso, non provano piacere nel mero esercizio delle loro facoltà, e, a meno che la necessità non li incalzi minacciandoli con un bastone, non muoveranno un dito. Non vale la pena di parlare con gente simile: sono incapaci di abbandonarsi alla pigrizia, la loro natura non è abbastanza generosa; e trascorrono in una specie di coma le ore che non sono applicate a una frenetica furia di arricchirsi.» (Robert Louis Stevenson, Elogio dell’ozio, 1877)

C’è la fila delle processionarie sotto casa mia, è sabato. Gli automi pare si animino di vita autentica, devono completare il ciclo settimanale, compiere il sacro dovere liturgico di onorare il prefestivo, carrello in resta, poi viene il tempo delle libagioni prima delle abluzioni domenicali. La piccola borghesia non ha altra prospettiva del tutto scritto, qualcuno è in agitazione più del solito, si rinnovano consigli comunali. Il gioco delle parti si consuma anche quello secondo un rituale antico, il terribile avversario, quello con cui in certe domeniche si gioca al tennis ed al golf, «persona squisita», diviene spregevole, orrendo. È cosa che dura poco, poi torna l’armonia. Quella del chiacchiericcio al bar, non oltre, del favore concesso, della variazione al piano urbanistico, della strada asfaltata, del battimani all’unisono in curva per la squadretta che quest’anno punta dritta ad una certa promozione a campionati interborgo. C’è frenesia, di piccole fette di potere, di piccoli arricchimenti – forse – leciti, l’attivismo della consuetudine, l’orizzonte tracciato a compasso con punta posta a naso, dritta a far curva di non più di mezzo angolo retto, come fu per paraocchi d’antico mulo.

Quello, almeno – l’antico mulo, intendo – si faceva distrarre senza tema di carico di scudiscio dal fiore che sbucava tra le pietre della trazzera e se ne faceva lauto desco. Questi sono morti, non sanno niente nemmeno del racconto delle pietre, di narrazioni epiche racchiuse in quegli interstizi. C’è un lunedì che li aspetta, non vedono l’ora d’arrivarci.