Disordine e indisciplina cosmici

“Che mai sarebbe il mare e il cielo,

e le isole e le stelle,

e quanto all’occhio umano si offre,

che mai sarebbe questo spento suono di cetra

se io non gli infondessi suono e anima e parola?”

(Friedrich Hölderlin, Empedocle)

Mai fu bastevole starsene a contemplare l’infinito, coi trabocchi d’altro che si frappongono tra esso e lo sguardo, se non si intrattenesse col tutto d’intorno amabile conversazione. Se non si cogliesse che in quello ci sono suoni e parole che scivolano lente, tali altre s’agitano di moti compulsivi che fremono di desiderio di racconto. Pure non valse la pena d’annoiarsi su una sedia volta all’indecifrato se non vi fu volontà d’ascolto per la nuova narrazione che si ricompone nei meandri antichi delle solitudini definitive. Dette solitudini, però, s’ebbe a concretezza d’osservazione, mai furono davvero tali, piuttosto si prefigurarono come brulichio permanente, quale onda di marea che s’alterna a risacca di rimbalzo, tempesta e bufera che si fanno a soverchianti forze a scontro finale con bonaccia e calma piatta. Davvero ci si fonde con l’infinito e con tutto ciò che fu strada verso d’esso quando sapori e suoni, colori e profumi non paiono più darsi confine preciso, s’impelagano a fusione perfetta, piuttosto, paiono ragazzini che scivolano verso la palla che rotola all’unisono, ad un tutto insieme che non prevede geometria di gioco, precisa programmazione. Ma che meraviglia farsi strada nel kaos della percezione, nel quel che viene viene. E se comincio a metter punto qua e là, non fu tale per definire l’accapo del ricomincio, ma solo momento di fermata a godimento, che me ne feci concessione con bicchiere pieno e musica che mai si fece così giusta nel rilasciare effluvio potente.

Vabbè, a scanso d’equivoco, “imitazione di Empedocle. Troveranno sull’Etna, a tre metri dal cratere, una scarpa Varese numero 42…” (Gesualdo Bufalino)


6 risposte a "Disordine e indisciplina cosmici"

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