“C’è un tempo in cui devi lasciare i vestiti, quelli che hanno già la forma abituale del tuo corpo, e dimenticare il solito cammino, che sempre ci porta negli stessi luoghi. È l’ora del passaggio: e se noi non osiamo farlo, resteremo sempre lontani da noi stessi.” (Fernando Pessoa)
Quel tempo arriva nelle forme che vuole, quando desidera di farlo, mai si presenta a richiesta, finge di non essere stato invitato, pure se ad evocarlo è stata ogni stilla di sangue e sudore che puoi buttar fuori. Ci hai pensato a quel tempo, in un lasso di tempo infinito, indeterminato, non te ne serve altro. È roba che si consuma a gambe ferme, non quando ti muovi, nemmeno quando ti si muovono le consapevolezze doverose del quotidiano, quando l’abito da lavoro che t’è toccato pare così logoro che non c’è più spazio per immaginare il colore della carne che prova a nascondere. Che è dato a stupirsi pure per la scoperta d’essere colorato in qualche modo, non d’amorfo grigio, che era cosa che desumevi da stanchezze definitive. Si realizza di forme concrete un tempo ancora d’orizzonte, ch’è perso nel chiaro d’una luna, forse nelle cappe del sole di scirocco, nel rosso della sabbia del deserto che s’avvicina a trasporto di libeccio. C’è ancora quel profumo strano, acre, di vita vissuta come viene, pure dovrebbe non esserci, che non c’è distesa di posidonia nelle aule vuote, nemmeno nelle stanze a vista di terminale. Lo specchio pare gioca ogni giorno ad implacabile riflesso d’autore, non fornisce manipolazioni sghembe d’immagine, che non si riconosce mai d’acchito, non fa come riverbero azzurro di mare, che di distorsione fece solo virtù sua.











In quotidiano di lavorio indefesso c’è urlo ovunque, sgraziato e d’artificiosa perfetta fattura, che a natura è altro che frastuono, quando è tuono a spavento pare invece rimbrotto benevolo, strappa sorriso, fa regalo di libertà che non è d’acquisto a svendita. Risorsa da lavoro, si dice, pare compenso per acquisto di libertà, ma quella non è cosa d’un tanto a chilo, non merita che la fatica d’essere vissuta a pieno, che vuol dire avere occhi per compiacersene, non polmoni per respirare la merce che ne è surrogato. Ed è vero, poi, ed alla fine, che il lavoro rende liberi, liberi dal desiderio d’esser liberi, quando te ne sei assuefatto e quel tempo, quando arriva, ci sta che si palesa e non te ne accorgi, che hai dimenticato in fondo ad un cassetto di inutili memorie l’orologio che suona al suo passaggio.
già… mannaggia a quell’orologio.
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Pure roba scadente😄
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😄
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Ti rispondo con una poesia famosa:
Nulla è in regalo, tutto è in prestito.
Sono indebitata fino al collo.
Sarò costretta a pagare per me
con me stessa,
a rendere la vita in cambio della vita.
E’ cosi che stanno le cose,
il cuore va reso
e il fegato va reso
e ogni singolo dito.
E’ troppo tardi per impugnare il contratto.
Quanto devo
mi sarà tolto con la pelle.
Me ne vado per il mondo
tra una folla di altri debitori.
Su alcuni grava l’obbligo
di pagare le ali.
altri dovranno, per amore o per forza,
rendere conto delle foglie.
Nella colonna dare
ogni tessuto che è in noi.
Non un ciglio, non un peduncolo
da conservare per sempre.
L’inventario è preciso
e a quanto pare
ci toccherà restare con niente.
Non riesco a ricordare
dove, quando e perché
ho permesso di aprirmi
quel conto.
Chiamiamo anima
la protesta contro di esso.
E questa è l’unica cosa
che non c’è nell’inventario.
Wisława Szymborska
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Che ci sta come il vestito buono delle feste.
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Una mia riflessione dopo le tue parole.La vita è difficile, nessuno ci ha mai promesso un giardino di rose, nel senso che se le vogliamo dobbiamo coltivarcele da noi, e sappiamo quanto è faticoso ….
La memoria del mare che ci riproponi sempre con le tue bellissime immagini, mai uguali , è veramente splendida e mi parla di una libertà interna, o inconscia – come vuoi – che abbiamo tutti anche se, a volte, è difficile ritrovarla nel quotidiano. Ti parlo di una mia esperienza, anch’essa vissuta nelle aule di infinite scuole: erano quegli attimi irripetibili in cui guardando negli occhi i bambini e i ragazzini, vedevo “il mare”, una grande possibilità per vivere quest'”occasione” irripetibile chiamata vita, e tutte le volte diventava anche mia, pur nei momenti più difficili. Ho scritto a braccio, senza tanto pensarci, ma le immagini del mare per me diranno sempre questo. Ciao, buon sabato e domenica!
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Anche se a braccio è arrivato tutto. Ed è vero che il mare è pure negli occhi dei bambini. Buon weekend anche a te e grazie davvero!
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grazie a te!
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Bellissimo il tuo “brano” (o come chiamarlo?)
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E chi lo sa? 🙂
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pensiero, lo potremmo chiamare pensiero.
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Ma si, non ci sta male🙂
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Le immagini del tuo mare sono bellissime. A guardarle ci si perde dentro… e forse si dimentica quell’appuntamento…
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È già appuntamento quello col mare.🙂
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Che immagini sassolino …
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🙂
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