Questione d’etichetta

A tanti che a lavoro sono adusi, condannati o vocati, non venne mai dato tempo adeguato per provvedere a giusto approvvigionamento alimentare, che anche si volesse far ricorso a contadino ad esaltazione di primario a chilometro zero e convenienza di conto in banca, questo necessita di tempo in tale misura da risultare inesistente a disposizione. Dunque, famigerata porta a vetro che scorre di supermarket a prezzo convenientissimo, pare ultima spiaggia per sussistenza. Che mi becco colonna sonora d’uopo.

Ch’io pure, a tempo di lavoro, mi faccio costretto a grande magazzino, ad acquisto cosa con etichetta di sacralità, che eviscera contenuti intimi del prodotto, svela mistero financo di scatoletta di tonno. Talora il messaggio appare criptico, che a lettura più attenta fece a riconoscimento di mondi sconosciuti, derive immaginifiche da prodotto originale.

Ma c’è legislazione, a supporto di severa direttiva d’Europa, che intima che ciò sia in detto modo, pure non trascurando dettaglio alcuno che pare giusto che consumatore sappia cosa è a consumo. Capita pure che, a caro bolletta, ad inflazione che pare cavallo a galoppo su infinita prateria, occhio cade a prodotto d’economicità conclamata, che volantino pubblicizza a casella della posta quale occasione irripetibile. Sbirciando etichetta si scopre che non v’è allontanamento di particolare distanza da prodotto reclamizzato. Ma ad ultima volta m’assalì dubbio, ch’io frequento contadino e conosco, pure per competenza personale, costo di prodotto a produzione. Mi capita, difatti, d’essere ad acquisto di, che so, chilo o più di pomodoro per salsa fresca, a diretto contatto con contadino di mercatino a rione, produttore egli stesso. Lì sfango prezzo ottimo, pure a concorrenza con distribuzione immensa, che non v’è packaging, nemmeno intermediario, logistica ed affini. Ma a supermercato mi capitò di comprare taluni prodotti il cui costo a grande offerta speciale, se a tutta filiera metto assieme, pare di materia prima a gratis. E non v’è dubbio che materia prima d’ortofrutta a conserva non è a gratis per plusvalore di venditore della stessa. Mi sorse così consapevolezza che prezzo a straccio nasce da sfrutto manovalanza a caporalato senza remora. Poi mi guardo casistica particolare, che mi viene da rivista ad abbonamento a mail. Che tale rivista dice che negli ultimi anni c’è morto di bracciante a sfrutto nei campi a migliaia – che giornalettume si guarda bene di darne notizia – che spesso o sempre, pare migrante a pago per compro tozzo di pane e lavoro ad ora indefinita. Che quello muore a fatica di stronco, a sparisco, suicido, incidentato o ammalato per promiscuità di baraccopoli di latta, vittima di mafia di caporale. E mi chiesi, ma come non c’è direttiva di grande democrazia che ad etichetta mi dice contenuto esatto di prodotto ma pure che è fatto senza sfrutto a schiavo?


22 risposte a "Questione d’etichetta"

      1. Lo so che le metastasi si sono diffuse per tutto il paese ma hanno trovato terreno fertile, è il caso di dirlo. E gli ultimi ministri interni si preoccupavano uno del foresto che arrivava col barcone a scopo delittuoso, l’altra del no-Vax che aveva l’arsenale nel comò.

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  1. …e la Campania manco è la regione più inquinata d’Italia.. pensa te…
    Che se il lavoro nobilita l’uomo io.. come madre e padre mi hanno insegnato, nobilito me stessa e dalle verdure che coltivo, da me, ci faccio conserve di ogni tipo e sottovuoti vari (pure se della Campania che fu Felix prima di certi barili mossi in direzione sud).
    Le foto.. professò.. voi siete artista.
    Brindisino..

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