Musica, avanti, sempre per la ragione che questa, sino in fondo, v’accompagna a meno fatica di lettura
Ho un tale rispetto per la fotografia, che mi capita d’andarmene in giro con la macchina fotografica e non farne nemmeno una. Che poi non è che sprechi rullino, che in digitale questo non conta. Ma tant’è, m’è rimasto questo. Mi pare che non vengano bene, che non corrispondano a quell’incontro fatale tra il me di dentro e la sua rappresentazione là fuori. Indugio, tentenno, alfine desisto, se non in rare occasioni. M’è parsa invidia quella fregola d’immortalare le cose che a taluni appartiene d’impeto compulsivo. Ma poi mi sono fatta ragione che ognuno s’è fatto a modo suo, che io non faccio eccezione. Nemmeno mi scatta lo sghiribizzo del click dinnanzi all’immagine del bello con cui s’offre talora la realtà. Che mi viene da pensare che bella non sarebbe la foto, piuttosto il soggetto intrappolato di pixel o rullino. Dunque, ancor più desisto, ripiego, che poi fotografo non sono, poiché, qual nessuno, non sono niente. Tuttavia, nulla ho di personale avverso lo scatto isterico e sequenziale, nemmeno m’è giunto sentimento ostile nei confronti di chi s’appresenta alle mostre fotografiche con lo zoom che s’accomoda ad adipe, sorretto di cordella, a dar definizione che, certo, quella è esposizione d’immagini, ma anch’io, pure, ne sarei avvezzo, sol volessi. È quel sentirsi affratellato di click che mi urtica, che ogni click, poiché è già stato in attimo a fuga, poi non ci appartiene più. Che se scatto una foto c’è che mi viene musica a supporto, pensieri e parole s’affastellano a quella, non mi soggiunge mai da sola, è impresa corale di me con me, ed ancora con me. E l’incontro nel punto d’accumulo è cosa difficile, e ostico mi rende lo scatto.

Talora ho tentazione, mi si spinge d’automatismi il dito sul pulsante di scatto, mi roteo tempi e diaframmi, che ciò che ho davanti penso, merita. Ma è spesso cosa che mi dura un attimo fugace, poi si spegne d’entusiasmo e cerco oltre, se trovo. Fermo mi resto, comunque, che quell’incontro ci sarà, che nulla m’è dato a pensare di negativo dell’immagine che mi si sottrasse allo scatto e che mi porto via lo stesso a memoria.

Stamane, che c’era sole, mi capita di luce giusta una bellezza rara di paesaggio architettonico, pure mi scappa che la fotografo, anche solo di cellulare. Non faccio un etto di danno, che quella è cosa bella, mi ripeto, e me la vorrei portare a memoria di byte, pure ad eccezione comportamentale. Me ne cerco uno scorcio lindo, che mi restituisca il soggetto senza intromissioni, né ne trovo uno, né di dritto, nemmeno di sgambescio. La scena s’occupa di tanti che clicchettano, ma non sul fatto in sé, su se stessi a selfie, e la bellezza si pone a sola quinta d’autoreferenza, un come dire io c’ero.
M’arrendo, che m’è parso di capire che non troverò scena libera, che taluni s’attengono a precetto d’essere belli in cima al creato, e reiterano il gesto di dirselo ad immagine, non si sa mai dovesse sgretolarsi tale granitica certezza.
Cavoli loro che con la loro presenza sciupano le fotografie.
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Niente in contrario, solo un po’ più in là.
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Per anni avevo atteso di visitare l’Ermitage di San Pietroburgo, uno dei musei. più belli e ricchi del mondo. Finalmente il mio sogno si realizzò, ma fu peggio di un incubo. Sala gremitissima con file interminabili per vedere un quadro; non capivo il motivo di quella lungaggine, pensavo alla straordinarietà dei quadri .. al mio turno capii: ogni persona, e dico ogni persona, davanti al quadro che neanche guardava si scattava un selfie, a volte anche più di uno. Rimasi così disgustata che dovetti lasciare il museo. Vedere tutte quelle persone che, indifferenti alla bellezza, non facevano altro che scattarsi foto mi fece veramente male. E così il mio sogno si infranse amaramente. Fui fortunata invece, nel trovare giusto di fronte il Piccolo Ermitage con pochissimi visitatori e pieno di opere eccezionali.
Scusa il ricordo personale, ma era per dirti che ti capisco 🙂
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La patologia del secolo nuovo è il narcisismo. Ognuno s’è convinto di sé che è opera d’arte. C’è anche che val più la testimonianza del viaggio su un social che il viaggio stesso. Mal di secolo, appunto.
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Personalmente che amo fotografare ciò che a je piace e soprattutto immortalare l’attimo, è sempre questo che faccio quando fotografo tanto più che amo i paesaggi, ma ciò nonostante non amo farmi fotografare e tanto meno farmi dei selfie.
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Io credo di non avere proprio foto che mi ritraggono.
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Io poche e quelle che ho mi sono state scattate all’improvviso 😉
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😄 di quelle abusive non ho contezza.
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Eh a chi lo dici!!!
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l’attimo è fuggente, ma oramai non si trova più un luogo libero da intrusi nemmeno sull’Everest
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Già!
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al digitale rimprovero la facilità allo scatto, aver fatto perdere la parsimonia insita nel rullino.
onore a te che ti trattieni (e quando scatti, scatti bene!)
ml
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Trattenermi è cosa che m’aggrada e mi riesce, che sono di pigrizia congenita. Grazie🥂
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a me lei sta simpatico. scrive bene e sa un sacco di cose. punto.
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Grazie🥂
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Adoro fotografare paesaggi e continuerò a farlo in abbondanza, ogni volta che potrò. Immortalare l’attimo è una forma di poesia. Certo, non tutti sono portati.
Non amo invece i selfie, non m’interessano.
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È bello fotografare paesaggi, invidio – con benevolenza – chi riesce a farlo col piacere di farlo. Io risento molto della cultura della camera oscura che induceva allo scatto molto meditato.
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In passato si scattava meno perché il rullino e lo sviluppo costavano parecchio. Tutto qui.
Per fortuna adesso questo problema non c’è.
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E si, il costo del rullino e dello sviluppo era un bel freno.
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